mercoledì 24 dicembre 2008

Hansel & Gretel





Titolo originale: 헨젤과 그레텔 (Hen-jel-gwa Geu-re-tel)
Paese: Corea del Sud
Anno: 2007
Regia: Pil-Sung Yim

Un uomo alla ricerca di se stesso, in lotta con una famiglia che non vuole o non è pronto a gestire, si ritrova a vagare per una foresta dopo aver avuto un incidente stradale.
Come per magia viene soccorso da una ragazzina che lo porta nella sua casetta di marzapane (bhè non letteralmente, ma quasi..) dove ad accoglierlo ci sono altri due teneri bambini e due amorevoli genitori dal sorriso zuccheroso.
Tutto è perfetto, da fiaba, se non che dopo poco cominciano a succedere strane cose: telefoni che non funzionano, stradine che spariscono, foreste che sembrano impenetrabili, dolci e cibarie troppo belli e buoni per essere veri, peluche, giocattoli e animaletti da sogno, etc etc etc..

Un sogno, un racconto, un viaggio in sentimenti ed emozioni spesso celati o nascosti, una dolcissima patina che ricopre orrori e sofferenze così grandi ed inesplicabili da trovare espiazione solo attraverso la tenera ed ingenua visione del mondo che solo i bambini sono capaci di offrire. Uno sguardo innocente sul mondo adulto e le sue perversioni, un film che commuove e coinvolge su più livelli, così tanti da risultare difficile descriverlo senza scadere nel banale.

Visivamente ricco e fantasioso, interpretato e vissuto magistralmente da quattro protagonisti che sembrano incarnare perfettamente i personaggi per loro ideati, diretto in maniera impeccabile. Forse a tratti un po' semplice, ma non è forse questo il pregio dell'essere piccoli?

Da vedere, difficile da dimenticare.

Voto: 9

lunedì 24 novembre 2008

Rampo Noir



Titolo originale: Rampo jigoku
Anno: 2005
Paese: Giappone
Regia:
Akio Jissoji (episodio "Kagami jigoku")
Atsushi Kaneko (episodio "Mushi")
Hisayasu Sato (episodio "Imomushi")
Suguru Takeuchi (episodio "Kasei no unga")

4 episodi tratti da altrettanti racconti di 江戸川乱歩 (Edogawa Ranpo, vero nome 平井太郎, Taro Hirai), contraddittorio autore giapponese appassionato a romanzi occidentali che vanno dal giallo ad Edgar Allan Poe.
Star indiscussa del film è Tadanobu Asano, nei panni del detective incaricato (ufficialmente e ufficiosamente) di risolvere casi al limite del surreale e dell'impossibile.
A prescindere dalla fantasia malata delle storie qui rappresentate, quello che sembra trasparire dai personaggi è un generale senso di disagio, di perdita dell'identità e di ricerca di una nuova dimensione nella quale poter sopravvivere in pace non tanto con se stessi ma con quello che non si può cambiare della propria esistenza, in estremi tentativi di mutazione, mutilazione, trasformazione, immortalità.

Un film che parla di disagio, di solitudine, di dolore..ma anche di amore, per quanto distorto o malato possa sembrare.
Un film che rende attuale il concetto di Arte e lo declina in 4 nuove forme, che spaventano disturbano ed affascinano allo stesso tempo.
Un film scomodo, scomodissimo.
Un film tremendamente alieno e forse alienante, che dell'alienazione fa però pane quotidiano, sbattendocela in faccia e facendoci prendere coscienza di quanto in realtà preesista nel profondo di ogni essere umano: unica scusante è probabilmente l'incapacità di darle sfogo, o l'assoluta mancanza di controllo in caso contrario.


Un uomo che non riesce più a distinguere realtà da riflesso e finisce per annullarsi all'interno dello specchio nel quale vorrebbe poter vivere; una donna che ama e odia allo stesso tempo il marito in maniera così distorta e sbagliata da distruggerne il corpo per poi seguirlo nel dolore, in comunione con un concetto di arte che va oltre alla perfomance, oltre all'opera pura; un uomo che soffre terribilmente di fronte ad ogni minimo contatto col prossimo ma torturato dall'amore folle per una donna, che lo porta ad un estremo gesto di annullamento e di trasposizione in quel mondo di sogni e illusioni che, anche se in modo tragicamente diverso, compare in tutti gli episodi.
Il tutto legato dalla figura di Tadanobu, uomo in conflitto con la propria esistenza e la propria definizione, uomo in perenne lotta con l'odio per la moglie inferma e l'odio per un se stesso che non basta più, che non esiste più se non nella dualità uomo-donna che avvistiamo nei primi minuti di questa sconvolgente pellicola.

Rampo Noir non è un film facile da digerire, non lo definirei nemmeno film.. probabilmente nella folle ricerca di una definizione di opera d'arte è proprio questo percorso a colpire il "pubblico" molto più dei suoi contenuti.
Magistrale, pur nella semplicità di una regia non sempre all'altezza della poesia del copione.

Spaventosamente difficile, orrendo a tratti.. ma imperdibile.

Voto: 7,5

Disappear




Titolo orginale: Shissô: boku ga kanojo o tojikometa wake
Paese: Giappone
Anno: 2005
Regia: Hideo Jôjô


Asi, Kwangshu e Yinan sono amici fin da piccoli e compagni di scuola. Quando gli anni passano, Asi diventa una bella ragazza e decide di fidanzarsi con Kwangshu, spezzando il cuore a Yinan che l'ha sempre amata in silenzio.
Dopo una serie di involontarie e rocambolesche avventure, Asi si ritrova prigioniera a casa di Yinan che impazzito decide di tenersela per sè convinto di poterla conquistare (o per lo meno sfruttare..) in questa maniera.
Nel mondo esterno tutto continua in maniera normale, la gente vive la sua vita e il lavoro nella piccola officina in cui Yinan passa la maggior parte del tempo è noioso e ripetitivo come sempre, con l'unico diversivo di un'oca trovata ferita che per caso diventa mascotte degli operai.
Nella piccola casa, Asi cerca di barcamenarsi come può, senza mai abbandonare l'idea di una fuga, che più di una volta cerca di attuare senza successo.

Fin qua tutto bene, non fosse che dietro a tanta tragedia si cela un grande malinteso alla base di un minestrone melenso degno del miglior shojo manga.
Nessun accenno horror, solo violenza e dolore in un film dall'esito non così scontato come ci si aspetterebbe ma forse forzatamente mieloso, nonostante l'evidente impossibilità (o forse solo difficoltà) di concluderlo in maniera diversa.

Interpretazioni fastidiose al limite del dolore fisico (la sinfonia di respiri asmatici è una sofferenza per le orecchie) ma anche intense e drammatiche al punto giusto, in un film decisamente non facile da vivere e rappresentare, scomodo per tanti versi. Non si tratta di violenza visiva quanto piscologica, in una spirale di eventi che, seppur estremizzati alla classica maniera nipponico-autodistruttiva, sono spesso comuni a molti di noi.

Scomodo, ma avrebbe potuto essere molto peggio (o meglio?)


Voto: 5,5

Lhorn





Titolo originale: Lhorn - Soul
Paese: Thailandia
Anno: 2003
Regia: Arphichard Phopairoj


La gita di un gruppo di ragazzi alla vecchia casa di famiglia di uno di loro si trasforma in occasione perfetta per sciorinare vecchie storie su fantasmi e possessioni poco simpatiche. Il tutto calato nella Thailandia rurale dei villaggi e delle campagne che fanno poco Alpitour e molto Linea Verde.

Filo conduttore di tutto il film è il dialogo fra Sao e Manao (non sto scherzando..) che insieme ad un amico ripercorrono le antiche leggende soprannaturali che popolano il loro paese. Partendo da un malefico libricino nero (dejavù) assistiamo a diversi episodi, ognuno dei quali legato ad un diverso tipo di fantasma o spirito e luogo di provenienza: abbiamo lo spirito mangia polli crudi, lo spirito libidinoso ninfomane, lo spirito spaventapasseri che vive in una pianta, lo spirito albero vendicativo.
Tutti legati alla natura, tutti in qualche modo strettamente connessi ad una pianta o simile.
Se l'idea di fondo non è malvagia, i personaggi di contorno presenti nella casa e le ridicole scene che si svolgono ai giorni nostri bastano ad abbassare il punteggio generale del film, rendendolo spesso scialbo, risibile e ben poco pauroso.
Interessante comunque osservare la minuziosa riproduzione di realtà e luoghi in genere snobbati dalla cinematografia (se non in occasione di documentari o film denuncia) che rendono estremamente esotico e realista l'intera architettura di un film altrimenti difficile da seguire senza appisolarsi almeno mezz'ora o più..

Visivamente semplice e di poche pretese, un film tutto sommato piacevole ma non indispensabile. Da vedere per chi ha uno spiccato interesse per la Thailandia, per le leggende e per i fantasmi. O per chi, come me, si sottopone volontariamente alla tortura perchè in fondo appassionato al genere.
Sconsigliato a tutti gli altri.

Voto: 4,5

sabato 23 agosto 2008

House of the Invisibles



Titolo originale: 一樓一鬼 (Cu' Xa' Kinh Hoàng)
Paese: Hong Kong
Anno: 2007
Regia: Elfa LEE Cheuk-Chun

Un'afosa mattina estiva poco adatta a qualsiasi attività fuori casa mi ha indotta a recuperare uno dei tanti dvd che prendono polvere sulla mia scrivania e dare una chance a "House of the Invisibles", che già avevo tentato di guardare...senza successo.

La trama, quantomai semplice e scontata, prende vita intorno ad un palazzo di quelli che si vedono ormai troppo spesso nei film targati HK e simili, le cosiddette città verticali, ed ai suoi abitanti decisamente fuori dal comune: macchiette, stereotipi, esseri umani ai limiti della società che arrancano per arrivare a fine mese un po' in qualche maniera o che sbarcano il lunario scommettendo ( e perdendo regolarmente ) su qualsiasi cosa si possa scommettere e ancora malati terminali, senzatetto, prostitute su prenotazione, drogati e perditempo vari. Ce n'è di che creare un'intera encicopedia neorealista.
A tessere le fila dell'orrore (ah che paura, che angoscia, non vi potete nemmeno immaginare...) sembrano essere una vecchia barbona e il letargico portiere testimoni e registi di un complotto ai danni degli ultimi inquilini "vivi" che devono vedersela con un esercito di fantasmi alla ricerca di vendetta, nuovi corpi da utilizzare, riconoscimenti, amore... e chi piùne ha più ne metta.
Quando finalmente tutto sembra essersi sistemato e già si sente odore di "e tutti vissero e morirono felici e contenti" ecco che si ricomincia da capo. E' proprio vero che il lavoro non finisce mai.

Una regia abbastanza banale, una fotografia povera di originalità ed una compilation di effetti speciali degna del filmino della prima comunione faranno storcere il naso agli spettatori più raffinati, ma fanno da cornice ad un film he da banale e scontato riesce comunque a trarre spunti di riflessione non indifferenti che spaziano un po' in tutte le direzioni. Se il finale non lascia adito a dubbi è comunque vero che il commovente epilogo che vede l'uomo represso e la moglie invalida come protagonisti regala una decina di punti in più ad un film che altrimenti soffrirebbe troppo di sindrome della fotocopia.
Carino.

Voto: 5,5

mercoledì 11 giugno 2008

Japan Sinks!


Titolo originale: Nihon Chinbotsu
Paese: Giappone
Anno: 2006
Regia: Shinji Higuchi


Tratto da una disaster-novel del 1973 (scritta da Sakyo Komatsu) e remake dell'omonimo film girato quello stesso anno da Shiro Moritani, Japan Sinks è il "Day after tomorrow" in versione nipponica.
Lo scivolamento della zolla che sostiene il Giappone sotto alla placca del Pacifico provoca l'inesorabile affondamento dell'arcipelago giapponese, con contorno di tsunami, eruzioni vulcaniche, uragani e così via dicendo. Il film sviluppa due trame parallele che si intersecheranno solo alla fine: da una parte abbiamo un gruppo di studiosi che lotta contro il tempo per trovare una soluzione al disastro mentre il governo cerca di salvare il salvabile; dall'altra una ragazza membro addestrato di una squadra di pronto intervento che fa di tutto per preservare la felicità della sua famiglia e di chiunque le capiti a tiro.
Ovviamente ci sarà l'incontro tra uno degli studiosi e la ragazza i questione ed ovviamente sarà la loro storia d'amore ad alleggerire (o affondare del tutto, già che siamo in tema) la drammatica vicenda.

Significative alcune frasi e situazioni, che ci palesano l'enorme divario che scorre tra l'assurdo ed incrollabile ottimismo made in USA (nemmeno il ghiaccio killer e i tifoni apocalittici riescono a fermare l'avanzata di Dennis Quaid nel film di Roland Emmerich) e l'altrettanto assurdo ed inevitabile patriottism-pessimismo di un Primo Ministro giapponese che vede nel "non far niente e morire insieme al proprio paese" l'unica soluzione possibile (ma di fatto poi non attuata, se no il film sarebbe durato 30 minuti). Emblematica anche la situazione finale che vede il paese del Sol Levante lasciato solo a se stesso ed abbandonato dagli stati amici: riferimento casuale a fini logistici, pessimismo cosmico imperante o mal celata insicurezza nei confronti dei gajin (forestieri)?
Nonostante le numerose discrepanze e l'assurdità di molte scene e trovate spettacolari (gente cotta zotto agli zampilli ad ogni scena ma protagonisti invincibili e sempre ben pettinati, giusto per citarne una...), Japan Sinks rimane un'ottimo disaster movie che si foggia di effetti speciali di tutto rispetto e impatto visivo decisamente forte.
Divertente e commovente allo stesso tempo. Consiglio poltrona comoda e pop corn, data anche la lunghezza (più di due ore).

Voto: 6,5

Sorum


Titolo originale: Sorum
Paese: Corea del Sud
Anno: 2001
Regia: Jong-chan Yun


Un giovane tassista si trasferisce in un fatiscente palazzo alla periferia di una grande città, palazzo in odore di demolizione se non fosse che i pochi inquilini rimasti non hanno nessun interesse a cambiar casa. Subito dopo l'arrivo stringe amicizia con una donna vessata dal marito violento, provocando così la gelosia e la curiosità degli altri inquilini del piano.
Poco dopo si viene a sapere che nell'appartamento del giovane si è consumato un dramma e che questa morte è collegata a fatti ancor peggiori accaduti trent'anni prima.

Film più drammatico che thriller, più giallo che soprannaturale, più neorealista che realistico.. affonda le proprie radici in tradizioni e pregiudizi che trovano fondamento in una società alla disperata ricerca di se stessa, in perenne declino e senza via d'uscita. Uno sguardo terribile e maliconico sull'impossibilità di crescere ed il desiderio, insito in tutti noi, di ritornale all'ovile e a quella figura materna a volte fuori dagli schemi (una donna incapace di badare a chiunque, una ragazza isterica.. perfino un appartamento abbandonato), ma sempre disposta ad accoglierci a braccia aperte quando tutto sembra andare male.
Sorum sembra dare nuovo significato alla parola "casa" che assume la doppia valenza di edificio e di entità, di grembo materno ma anche luogo di prigionia.. dove si è protetti dal mondo esterno ma non dal nemico più pericoloso: se stessi.
Una spirale discendente, verso l'oblio e l'autodistruzione in una continua ricerca della felicità che immancabilmente sfugge ad un gruppo di protagonisti sempre più tristi, disperati e incapaci di domare le proprie emozioni.
L'unica soluzione rimane la fuga, dalla vita, dagli impegni, dal lavoro. Crescere lontani dalle proprie radici. Ma sarà davvero possibile?
Interpreti strabilianti, dialoghi intensi e fotografia crudele rendono questo titolo unico e decisamente interessante, nonostante i numerosi tempi morti e la drammatica staticità dell'intera vicenda. Ma non avrebbe potuto essere girato diversamente.
Da vedere.

Voto: 7,5

martedì 10 giugno 2008

Kisaragi


Titolo originale: Kisaragi
Paese: Giappone
Anno: 2007
Regia: Yuichi Sato


Giappone, la giovane idol Miki Kisaragi muore suicida nel suo appartamento. Esattamente un anno dopo, 5 uomini si riuniscono per renderle omaggio.
Si tratta dei membri più assidui del forum online dedicato a Miki, nonchè i suoi più grandi fans.
Uno di loro sospetta però che la morte della ragazza sia in realtà un omicidio e comincia a puntare il dito sugli altri partecipanti alla riunione. Da qui partono accuse reciproche e confessioni a turno, in una serie di colpi di scena pressochè infinita che ci porterà alla soluzione finale del mistero (ma sarà vero?) e conclusione del film.
La storia si svolge interamente all'interno di un piccolo attico, giocando l'intero intreccio sui dialoghi e la fisicità teatrale di azioni e gesti compiuti dai protagonisti, annullati nella loro individualità tramite l'uso di vestiti identici e invitati a riconoscersi tramite nickname (metafora della spersonalizzazione insita nella comunicazione online), che si trovano a recitare una sorta di tragedia greca in uno spazio chiuso e soffocante (non a caso ad un certo punto comincia a piovere).
Unica eccezione sono i pochi flashbacks, quasi sempre rappresentati da una commistione di fumetto e fotografia (rimando al mondo inconscio dei ricordi).

Film che di spaventoso non ha nulla, che rischia forse di annoiare lo spettatore alla ricerca di continue emozioni visive e frenetiche, ma che tuttavia non risulta lento. Dialoghi ed interpreti perfettamente in sintonia rendono la trama in costante evoluzione, mantenendo alta la suspance e garantendosi così l'attenzione del pubblico nonostante le limitate suggestioni action-oriented e il modesto lato spettacolare.

Dieci piccoli indiani in versione treatral-nipponica, spesso citato come commedia ma ben lungi dall'esserlo, senza tuttavia risparmiarsi in trovate divertenti ed ironiche.

Brillante.

Voto: 7

Attack the Gas Station


Titolo originale: Juyuso seubgyuksageun
Paese: Corea del Sud
Anno: 1999
Regia: Sang-Jin Kim


Notte. Un gruppo di ragazzotti un po' strambi decide di rapinare una stazione di servizio. Niente di eccezionale.
Passa un po' di tempo.
Notte. Il gruppo di ragazotti di cui sopra, annoiato mentre mangia noodles in un ristorantino di quartiere, decide di spezzare la monotonia rapinando una stazione di servizio. La stessa stazione di servizio. Salvo poi rendersi conto che a fingere di esserne i proprietari forse si guadagnerebbe di più. Da qui parte una serie di situazioni rocambolesche e assurde, di una violenza così buffa da suscitare risate incontrollate, alla stregua dei pestaggi a cui ci avevano abituati i classici Bud Spencer & soci.

Attack the Gas Station non è, ovviamente, un film horror. Anzi.
Film di poche pretese ma di sicuro effetto, denso di rimandi e citazioni (impossibile non pensarlo come risposta coreana ad Arancia Meccanica, di cui è sia figlio sia parodia sia omaggio), piacevole e divertente, nonostante tutto.
Nota di merito agli interpreti (mai sopra le righe), magnifici portabandiera di un disagio giovanile portato sullo schermo in maniera ironica e leggera, senza tuttavia cadere nello scontato. Sottile critica nei confronti della rigidità dell'educazione coreana (sia in famiglia che negli istituti scolastici, con particolare attenzione al mondo dell'arte e dello sport) alla quale si oppongono l'originalità ed il carattere anticonformista di quattro giovani che, proprio per questo, vengono puniti e spinti verso una vita di ribellione (personale e sociale).
Assolutamente significativo il finale, che non prevede punizione ma redenzione per i protagonisti che raggiungono la tanto agognata maturità proprio grazie a scorribande come queste e acquistano così il coraggio per realizzare i propri sogni.
Il tutto presentato in maniera divertente e spassosa, quasi come una medicina amara ricoperta di zucchero filato.
Geniale.

Voto: 7,5

sabato 10 maggio 2008

Pray


Titolo originale: Purei
Paese: Giappone
Anno: 2005
Regia: Yuichi Sato

Tratto da un racconto di Ogawa Tomoko, se non avessi letto la storia originale molto probabilmente non avrei capito granchè della trama. Purei parte da un'idea abbastanza interessante (un rapimento che si trasforma in ghost story, questa ancora mi mancava) ma scade nell'ovvio e nello scontato grazie a dialoghi poco incisivi e scritti probabilmente sotto l'effetto di qualche sostanza illegale (unica cosa stupefacente in questo film, a mio parere) e ad attori che sfoggiano un'espressività da totano in salamoia.

Mitsuru e Miwa decidono di rapire una bambina (a caso!?!?!? dal film sembra proprio così...) in modo da ripagare un grosso debito grazie ai soldi del riscatto. Peccato che il piano vada in fumo grazie anche all'arrivo di tre amici (un pochino tonti, se mi permettete l'espressione) e un paio di fantasmi ad hoc.
Ovviamente, quale posto migliore per nascondersi se non la vecchia scuola di lui? L'espediente permette di mettere in scena le più ridicole scene horror mai viste: un tripudio di mani mozzate col compasso (non scherzo, provate a misurare la macchia di sangue e ve ne accorgerete), taglierini killer, lavagne assassine e gabinetti mortali. Niente di eccessivamente splatter, anzi. L'orrore è più che altro suggerito (molto bene oserei aggiungere: dopo un minuto di film già avrei voluto cavarmi gli occhi dalla noia) dall'atmosfera tetra dell'edificio in cui si svolge l'intera vicenda.
Su tutto aleggia poi la presenza di una bambina pseudo muta che passa tutto il film a giocare a nascondino, rendendosi oggetto dell'odio non solo dei protagonisti ma anche mio. Aggiungiamoci anche il fantasma di una ragazzina suicida per amore e la ricetta è pronta.
Se la scena finale in palestra poteva dare un senso compiuto all'intera storia, regalando anche un momento decisamente commovente, le ultime inquadrature all'esterno rovinano il già fragile castello di carte su cui poggia tutto il film e rimettono in discussione l'intera tesi, rendendo di fatto vano ogni tentativo di razionalizzazione.
Noioso e deludente.

Voto: 4

House


Titolo originale : Hausu
Paese: Giappone
Anno: 1977
Regia: Nobuhiko Obayashi


Film culto per alcuni, film da dimenticare per (molti) altri... Hausu è l'esordio alla regia di Nobuhiko Obayashi che nel lontano 1977 porta su schermo un delirio di immagini e colori forse mai visto prima.
La storia, abbastanza banale, parte dalla solita scuola e la solita scolaretta in balìa di inevitabili crisi familiare. Da qua l'idea di portare un gruppo di compagne in gita a casa della zia, che abita in una sorta di castello maledetto in cima alla rupe più alta circondata da un fossato e lava infuocata e guardato a vista da un drago inferocito.
Scherzi a parte, la "casa" è il vero protagonista del film, fungendo da rifugio e prigione allo stesso tempo; luogo di serenità e sicurezza familiare che cela però (come tutte le case di questo mondo) un lato oscuro fatto di perversioni, rituali poco ortodossi e violenza inaudita.


Non aspettatevi però il solito polpettone psicological-drammatico: Hausu è tutto fuorchè noioso, tutto fuorchè serio...tutto fuorchè film.
Due ore di allucinazioni, deliri visivo-sonori, trovate trash degne di essere tramandate ai posteri (impossibile dimenticare la testa nel pozzo o il pianoforte cannibale) e tanto, tanto, pongo.
L'intreccio di trame e sottotrame trova ragione d'essere nella presenza inquietante (anche per i gattofili più incalliti come me) di un serafico gatto persiano bianco (non a caso, il bianco è per i giapponesi sinonimo di morte) che semina terrore (e miagolìì) per tutta la durata del film.

Un'opera strana, da prendersi con non troppe aspettative e da considerare per quello che è: un lungo videoclip psichedelico girato negli anni '70. Divertente.

Voto: 6


domenica 6 aprile 2008

Crazy Lips


Titolo originale: Hakkyousuru kuchibiru
Paese: Giappone
Anno: 2000
Regia: Hirohisa Sasaki



... Oh, say! can you see by the dawn's early light ...
Dunque.
Spiegare la trama di questo film può essere tanto semplice quanto impossibile; a prima vista si direbbe il classico thriller a sfondo soprannaturale, con qualche aggiunta in più: una ragazza, per cercare di salvare il fratello dall'accusa di plurimo omicidio, si rivolge ad una sensitiva la quale, con l'aiuto di un assistente molto scaltro, approfitta della situazione per raggiungere i propri scopi personali (ed oscuri) sfruttando le debolezze della famiglia in questione.
Detto così sembrerebbe un film forse banale ma comunque degno di tale nome e qui casca l'asino. Quella che ho appena scritto è il realtà la trama di un altro film, quello che forse avrebbero voluto (o dovuto?) girare in origine, ma di certo non non quella di Crazy Lips.
Qui si parte da una famiglia un tantino problematica assediata da giornalisti 24ore al giorno e perseguitata da un poliziotto che definire viscido è poco, una madre che sembra avere il carattere di una medusa sotto spirito, una sorella maggiore ninfomane e perennemente arrabbiata col mondo, una figlia minore con evidenti turbe sociali (e non solo). Per non parlare della Vanna Marchi nipponica in versione vedova al funerale in perenne compagnia di un maniaco sessuale in versione dandy becchino e della coppia di agenti FBI (lei giapponese americana ed in quanto tale parruccata a dovere, lui super agente infiltrato in perfetto stile KungFu-Matrix) capitanati da un fantomatico Colonnello affetto da invidia del pene.
Condite il tutto con scene simil-erotiche (più che altro lezioni su come si impasta il pane, ora capisco la disperazione di tante donne giapponesi) e sequenze splatter da asilo nido.
Unica ed inimitabile la colonna sonora, composta da brani inediti (probabilmente una creazione originale del figlioletto del regista, grande strumentista esperto nell'uso della tastierina del cellulare), musiche di repertorio (vedi alla voce poliziesco anni '70) e grandi interpretazioni vocali: impossibile dimenticare la struggente ballata che Satomi (no, non mi riferisco al violaceo capellone di Kiss Me Lycia) dedica al fratello tanto amato (certo, se lo amasse veramente probabilmente eviterebbe di aprire la bocca) e l'incantevole interpretazione dell'inno nazionale americano ad opera della parruccata agente FBI.

Un film che non smette mai di regalarci un sorriso (più che altro una risata incontrollabile), nonostante la totale assenza di luce in quasi tutte le scene (comprare un paio di lampadine avrebbe rischiato di compromettere il budget), la completa mancanza di espressività e logica sia nei personaggi che nella trama, l'assoluta assurdità dell'intera vicenda e soprattutto della sequenza shaolin nel bosco.
L'unica cosa che mi sento di dover sottolineare è come l'incredibile nonsense di tutta la pellicola trovi una sua raison d'ètre in quei due minuti di finale che definirei geniale: una drammatica e feroce critica nei confronti della nuova società nipponica, così americanizzata, così alienata e così depravata da trovare rifugio solo nella morte (per mano propria o del "nemico"). Un epilogo feroce e crudele che regala sollievo e l'illusione (perchè tale è) di vivere al sicuro, lontani da quel mostruoso mondo.
... What so proudly we hailed at the twilight's last gleaming ...

Voto: 5

mercoledì 2 aprile 2008

Re-Cycle


Titolo originale: Gwai Wik
Paese: Hong Kong
Anno: 2006
Regia: Oxide Pang Chun, Danny Pang


Scrivere un libro è un po' come scrivere se stessi, come se una parte della nostra anima si staccasse e andasse a vivere tra quelle pagine, in quegli appunti, su quei foglietti strappati e gettati nel cestino... inutili e dimenticati. Ma nessuno vorrebbe mai sentirsi inutile e dimenticato e per questo a volte i pensieri che scartiamo si ribellano e ci costringono a confrontarci con l'orrore delle nostre azioni. Che lo vogliamo o no.
Si apre allora una porta, un varco che ci conduce là dove vive la fantasia, prima di morire divorata dall'oblìo.
Questo è quello che succede anche a Tsui Ting-Yin, famosa scrittrice di romanzi rosa ora impegnata nella stesura di un libro su fantasmi &co.
Quello che parte come un viaggio nel mondo delle idee scartate e dei ricordi rimossi si rivelerà ben presto una sorta di pellegrinaggio alla riscoperta di sé stessa e di una parte, probabilmente, mai accettata della propria esistenza: quella di madre.
Dopo l'apparente banalità dei primi 20 minuti, il film si apre allo spettatore come un meraviglioso libro (non credo che la similitudine sia un caso...) animato da migliaia di personaggi fantastici e altrettanti incredibili mondi surreali, attraverso i quali Tsui intraprenderà un percorso di rinascita che la porterà ad affrontare i suoi più intimi timori e rimorsi, fino allo struggente e dolcissimo momento finale (mitigato da un'ultima scena probabilmente superflua, ma comunque non troppo inadeguata).

Dopo una serie di capitomboli cinematografici, i fratelli Pang tornano alla ribalta con un capolavoro assoluto; un film che sa unire lo spirito visionario di Lovecraft e Gaiman con l'orrore di serie come Silent Hill e pittori come Bosh, mitigando il tutto con una nota di malinconia e dolcezza. Una tenerezza che colpisce dritti al cuore e accarezza dolcemente un tema di per sè decisamente atroce.
Da vedere. Una, dieci, cento volte.

Voto: 9





Wild Zero


Titolo originale: Wild Zero
Paese: Giappone
Anno: 2000
Regia: Tetsuro Takeuchi

Zombies, l'apocalisse, alieni su astronavi a forma di palle dorate, una rock band troppo "rock'n'roll" e dedita al culto della gommina per capelli, uno sfegatato fan rockettaro pessima imitazione di Fonzie e con qualche problema di identità sessuale, un manager col feticcio delle mutande in pvc, un'orda di gemelli pelati e agghindati alla YMCA, un'amazzone anoressica trafficante d'armi ed aspirante maniaca omicida, una coppia di idioti tanto brutti da essere anche peggio dei non morti, un rapinatore in crisi mistica che piange alla vista del sangue, una donna che in realtà è un uomo che però sembra una donna ma dovrebbe essere uomo e alla fine non si sa cosa sia.
Non vi basta?
Wild Zero è una delle cose più atroci mai partorite da mente umana. Vorrebbe essere serio ma è tanto demenziale da risultare stomachevole. Impossibile ridere, si può al limite provare pietà per le povere comparse... loro si spera fossero ignare del destino a cui stavano andando incontro.
Alcune scene aiutano a sopportare le quasi due ore di film, ma onestamente non lo consiglierei nemmeno al mio peggior nemico. Se pensate di aver toccato il fondo, ricredetevi: Wild Zero è quanto di peggio il cinema nipponico possa sfornare. Probabilmente l'unico motivo per cui è considerato un cult.
Il film non si salva nemmeno sul piano tecnico: regia scolastica, inquadrature insulse, sequenze interminabili, effetti speciali ottenuti col pongo e sangue fatto col Crystal Ball. Ci vuole coraggio a definirlo low budget, in questo caso parlerei di no-budget-at-all.

Nel caso non foste convinti..

Guitar Wolf.
L'uomo dal plettro maledetto. Un nome una garanzia.
Guitar Wolf, Bass Wolf e Drum Wolf ... Ma questi capelloni proprio non potevano limitarsi allo strimpellare nel garage di casa?





Il mio voto: 3

martedì 25 marzo 2008

Koma


Titolo originale: Jiu ming
Paese: Hong Kong
Anno: 2004
Regia: Chi-Leung Law

Prestami un rene tu, che te lo presto pure io!! Non sto scherzando, il film in questione pare evolversi proprio intorno ad una tale idiozia e non accenna a redimersi nemmeno quando gli si offre l'occasione su di un piatto d'argento.
Dunque, vediamo di ricapitolare la trama (penso che ad HK si siano visti un po' troppe puntate di Beautiful ...): il tutto parte da un matrimonio in un grande hotel di lusso e da una testimone un po' troppo ubriaca che, manco a dirlo, diventa testimone non solo degli sposi ma anche dell'omicidio di turno.. il quale omicidio non è un semplice assassinio..bensì il classico appuntamento galante con furto di rene. Manco a farlo apposta la testimone accusa l'amante del fidanzato il quale, sempre perchè le coincidenze non erano abbastanza, è medico ed ex compagno di corso dell'accusata. Ovviamente la protagonista soffre di insufficienza renale (ma va?!!?!?) e dopo un po' di incursioni in casa, minacce etc.. diventa amica della rivale (bhè ma è ovvio, no?). Potrei continuare fino a domani ma vi prego non mi costringete. Qualsiasi ovvietà vi venga in mente, state pur certi che la ritroverete in Koma.

Peccato. L'idea di base, ovvero dare una sorta di anima e corpo alla leggenda urbana del rene scomparso, è buona. La fotografia non è delle più eccezionali, ma alcune scene notturne mostrano sicuramente un certo studio di luci e inquadrature che cerca di portare il film a livelli tuttosommato decenti.
L'audio è magistrale, alcuni brani rendono inquietante un'atmosfera altrimenti decisamente povera di suggestioni (ma anche della più semplice consistenza di base), aiutando così lo spettatore a sopportare questa tortura fino all'ultima scena.

Proprio sul finale preferirei sorvolare.. perchè se ancora si può trovare una certa logica in una trama di per sé abbastanza sentimental-pasticciata, le ultime due scene rendono vano qualsiasi tentativo di redenzione per un film che cade inesorabilmente in uno scontato quasi fantascientifico (non è uno scherzo.. vorrei davvero vedere quante persone farebbero un dono del genere.. vedere per credere).
Un minestrone, insomma. Un minestrone condito da ossessioni pseudo amorose, nudità a dir poco imbarazzanti e 4 protagonisti che avrebbero avuto miglior successo come venditori al mercato del pesce. Forse avrei fatto meglio a comprarmi un Harmony: se non altro, leggendo un libro, gli attori me li scelgo io.

Voto: 5

domenica 17 febbraio 2008

Coma


Titolo originale: Coma - 코마
Paese: Corea del Sud
Anno: 2006
Regia: GONG Soo-Chang - 공수창

Coma è una miniserie coreana divisa in 5 episodi.
Quella per gli ospedali, in particolar modo abbandonati, è sempre stata una mia passione..perciò non ho potuto lasciarmi sfuggire questo titolo... senza aspettarmi tuttavia un capolavoro, dato i pessimi precedenti esperimenti.
Tuttavia questo piccolo telefilm mi ha stupita, non solo per l'ottima recitazione di ogni singola comparsa, ma anche per l'eccellente uso degli effetti speciali che, per una volta, non sembrano amare storpiature di tutto ciò a cui siamo abituati. La storia è complessa, piena di colpi di scena e mai scontata, sottile e crudele ma in fondo commovente.
L'intera vicenda prende spunto dalla chiusura di un ospedale e dalla conseguente marea di inghippi burocratici che ne derivano. Un'agente assicurativa viene mandata sul posto, perchè si assicuri che tutto sia in regola, dato che nello stabile c'è ancora una paziente: una giovane donna in coma irreversibile, intorno alla quale si evolveranno tutti gli avvenimenti da qui in poi. Un direttore dedito alla droga, un chirurgo egocentrico con la fissa per l'immortalità, una caposala fredda e manipolatrice, un'infermiera giovane ed ingenua, un inserviente vecchio e malaticcio fanno da corollario alla vicenda, prendendone le redini di volta in volta.
In ogni episodio verremo a conoscenza di nuovi particolari che riguardano non solo l'ospedale ma i protagonisti stessi, esaminati sotto la lente di ingrandimento di un'entità spietata, in cerca di vendetta.
Nessun vero innocente, nessun vero colpevole. Il gioco di rovesciamento dei ruoli ci porta a prendere le difese di una creatura che suo mal grado tenta di sopravvivere (bhè..è un eufemismo) nell'unico ambiente a lei oramai caro: le corsie dell'ospedale che l'ha vista condannare.
Un susseguirsi di colpi di scena, di rimandi, rimescolamenti e di visioni/incubi ci accompagnerà fino all'ultima puntata con l'acqua alla gola, lasciandoci nel dubbio fino alla fine. Ciò che vediamo non è mai completamente reale, non è mai completamente giusto o sbagliato. La vera genialità di Coma sta proprio nello svelare i pezzi del puzzle un poco alla volta, costruendo piano piano un labirinto di scene e di dettagli che è quasi impossibile comprendere alla prima visione. Dietro ogni scena, ogni incontro, ogni frase, si nasconde qualcos'altro.
Penso che si tratti di uno dei prodotti più validi sfornati dalla penisola coreana, a scapito di tutti quei cinepanettoni a cui sembriamo oramai abituati. Ottimo, eccellente, spaventoso, commovente. Potrei spendere ancora un milione di parole, ma credo che tutto si possa riassumere in una semplice osservazione: Coma non è solo un titolo, è uno stato dell'esistenza in cui tutto assume una forma familiare, ma leggermente scostata dalla realtà. Vale la pena di affrontarlo. Se potessi, lo farei ogni giorno.

Il mio voto : 9,5



sabato 16 febbraio 2008

The horrors of the malformed men




Titolo originale: Edogawa Rampo Taizen: Kyofu Kikei Ningen
Paese: Giappone
Anno: 1969
Regia: Teruo Ishii


Questo è un film che fatico a classificare. Si parla di qualcosa che nasce ben lontano da quello a cui siamo abituati, data l'età della pellicola ed il basso budget di cui il regista disponeva.
La storia si evolve intorno alla figura di un medico che, rinchiuso in un manicomio, decide di fuggire e rifarsi una vita. Cercando informazioni sul suo passato, viene a conoscenza di un misterioso fratello gemello, oramai morto, e della sua famiglia: prende così il suo posto, fingendosi cadavere resuscitato e si introduce nella casa e nella vita di queste persone... cosa che lo porterà ad una sorprendente scoperta.
Non voglio svelare troppo per non togliere il gusto della sorpresa, vi basti pensare che come ogni famiglia, anche questa ha i suoi segreti.... e non sono cose da poco.
Più di metà film scorre senza grandi colpi di scena, con una narrazione molto lenta ai limiti dell'insostenibile. Quello che sembra partire come una sorta di dramma in costume si trasforma però in una vera allucinazione visiva, una volta giunti all'ultima parte: l'isola che fa da sfondo a questa seconda metà di film ricorda molto quella di molti horror più recenti, trasformandola in un incrocio tra L'isola maledetta e Holy Mountain. Come dimenticare il padre/santone indemoniato che con le sue movenze alla Jack Sparrow e i suoi bizzarri esperimenti mira a ripopolare il mondo di strane creature?
Bhè, è una pellicola che credo vada vista, anche solo per il valore culturale che assunse in un Giappone che all'epoca non era certamente incline a tollerare tematiche di questo genere (non è un caso che il film sia stato bloccato e poi censurato per molti anni).
Pur presentando effetti speciali da terza elementare ed una recitazione decisamente sopra le righe, è divertente.
Molto divertente. Sempre ammesso di sopravvivere svegli ai primi 50 minuti.
Un consiglio? Prendetevi un pomeriggio libero, munitevi di patatine e mettetevi comodi. Vale la pena di provarci, perchè la scena finale è a dir poco epica (vedi alla voce: esilarante).
Voto : 5

lunedì 4 febbraio 2008

Ikisudama - L'ombra dello spirito


Titolo originale : Ikisudama
Paese: Giappone
Anno: 2001
Regia: Toshiharu Ikeda


Un paio di anni fa Sky decise (non so se volontariamente o per colpa di qualche fattura mal riuscita) di mandare in onda una media di tre film nipponici al mese, propinandoci un po' di tutto. Dopo gli scontati titoloni horror-acchiappapubblico i dirigenti si sono ritrovati con un buco nella programmazione e penso che proprio dalla disperazione sia nata
l'idea di mandare in onda "Ikisudama".
In realtà sono molto grata a cotale congiunzione astrale perchè mi ha permesso di posare gli occhi (le mani erano intente a tirarsi i capelli) su questa perla di..... ma lasciamo perdere e passiamo alla trama.
Il film è diviso in due parti: nella prima una ragazza dagli strani poteri paranormali si invaghisce del solito belloccio della classe e finisce con l'uccidere chiunque gli stia intorno (leggasi: ragazzine minigonnate e scatenate). Il belloccio sconsolato chiede consulenza al fatellino che legge Dylan Dog (bhè non credo che in Giappone ci sia DD..diciamo un equivalente mago dell'occulto) ma ovviamente gli è di ben poco aiuto. Così a colpi di "oh!" , "eh!", "uh!!" e via dicendo, finalmente si arriva al finale.
La seconda storia prende il via poco tempo dopo i fatti della prima e vede protagonista una ragazzina che per sfuggire alla morte (quando i tuoi vicini salgono al creatore nei modi più strani prima o poi lo sai..tocca anche a te!) si trasferisce, manco a dirlo, in un palazzo maledetto. Caso vuole che vicino a lei abiti proprio la sorella del fratellino di cui sopra (non ho ancora capito le dinamiche di questa famiglia... se andiamo avanti così scoprirò che sono cugina di secondo grado per parte di madre) . Da qui è un susseguirsi di scene senza senso e fantasmi di plastilina, per non dimenticare il "namakusamandabasaraaaaahhhhhhhh!" che ancora adesso mi fa lacrimare per le
risate.
Se a tutto questo aggiungiamo la colonna sonora candy-pop del duo Doggy Bag (tengo a precisare che i due interpretano anche il ruolo dei due fratelli) penso proprio che Ikisudama si possa aggiudicare il premio di film più divertente del panorama horror nipponico. Nonostante le storpiature, la fotografia miope, una regia da scuole medie e l'interpretazione insipida di un terzo degli attori... adoro questo film.
Ikisudama non stanca mai, non eccede mai, non eccelle mai, non delude mai. Non promuoverei mai questo film tra i cult del genere ma sicuramente porterei il dvd con me su un isola deserta.
Il mio voto : 6,5/10




mercoledì 30 gennaio 2008

Inhyeongsa - the Doll master

Titolo originale : Inhyeongsa
Anno: 2004
Paese: Corea del Sud
Regia: Yong-ki Jeong

Qualche notte fa ho deciso di rovistare tra i miei dvd e sono finita a guardare uno degli ultimi acquistati nel delirio pre-natalizio : "Inhyeongsa - The Doll Master" , un film che non prometteva niente di speciale.. il classico polpettino (l' "-one" lo riservo solo allo scempio italiano) horror-esistenziale di provenienza coreana. Dopo la sfilza di deludenti titoli visti recentemente non mi aspettavo proprio nulla.

E qui mi sbagliavo.
Con mia grande sopresa, questo film si è rivelato piacevole al punto da indurmi a recensirlo per primo (il fatto che avessi già da parte qualche appunto non deve assolutamente influenzarvi...).

La trama è piuttosto semplice, ispirata al modello Agatha Christie : un gruppo di persone si ritrova in un luogo chiuso e oscuro, con clo scorrere delle ore tali persone vengono uccise una per una ed inevitabili piovono i sospetti sui sopravissuti di turno. Niente di eccezionalmente originale, se non fosse che in questo caso ci troviamo in una sorta di maniero-museo (che di coreano ha ben poco.. per non dire niente) nel bel mezzo di una foresta e che tale maniero è abitato da una acida artista su sedia a rotelle. Vero protagonista della vicenda è l'insieme di orribili-bellissime bambole che abitano ogni anfratto della casa: ricorda un po' "House on the Haunted Hill", solo che allora
il manicomio era reale e non metaforico.. come nel caso di Inhyeongsa.
La maggior parte delle bambole deriva (diciamo pure che è stata acquistata..) dalle splendide creazioni di Volks (Giappone) e Custom House (Corea), ma la vera opera d'arte è la serie di manichini che troviamo nelle stanze degli ospiti a reggere il lampadario, lo specchio, gli abiti... spaventosamente meravigliosi (perfino per chi, come me, non ha mai avuto la doll-fobia). L'elemento soprannaturale non si presenta subito, ma prende vita piano piano.. in una lenta spirale verso l'orrore e verso la scoperta finale della verità che ci porta con una certa malinconia e nostalgia a quei pomeriggi passati a giocare nel prato, quando avevamo 4 anni.
In poche parole.. uno splendido film. Forse non completamente originale, ma molto meno banale di tanti altri e di sicuro impatto visivo/psicologico .
Il mio voto: 8,5/10 .




mercoledì 16 gennaio 2008

buongiorno!

Questo blog è ancora in fase di costruzione, abbiate pazienza.
Man mano che avrò tempo aggiungerò links e quant'altro. Ricordate che per qualsiasi domanda sono sempre disponibile e se avete particolari richieste/film che vorreste vedere recensiti lasciatemi un messaggio qui oppure all'indirizzo email ladyfinck@gmail.com

^^