lunedì 24 novembre 2008

Rampo Noir



Titolo originale: Rampo jigoku
Anno: 2005
Paese: Giappone
Regia:
Akio Jissoji (episodio "Kagami jigoku")
Atsushi Kaneko (episodio "Mushi")
Hisayasu Sato (episodio "Imomushi")
Suguru Takeuchi (episodio "Kasei no unga")

4 episodi tratti da altrettanti racconti di 江戸川乱歩 (Edogawa Ranpo, vero nome 平井太郎, Taro Hirai), contraddittorio autore giapponese appassionato a romanzi occidentali che vanno dal giallo ad Edgar Allan Poe.
Star indiscussa del film è Tadanobu Asano, nei panni del detective incaricato (ufficialmente e ufficiosamente) di risolvere casi al limite del surreale e dell'impossibile.
A prescindere dalla fantasia malata delle storie qui rappresentate, quello che sembra trasparire dai personaggi è un generale senso di disagio, di perdita dell'identità e di ricerca di una nuova dimensione nella quale poter sopravvivere in pace non tanto con se stessi ma con quello che non si può cambiare della propria esistenza, in estremi tentativi di mutazione, mutilazione, trasformazione, immortalità.

Un film che parla di disagio, di solitudine, di dolore..ma anche di amore, per quanto distorto o malato possa sembrare.
Un film che rende attuale il concetto di Arte e lo declina in 4 nuove forme, che spaventano disturbano ed affascinano allo stesso tempo.
Un film scomodo, scomodissimo.
Un film tremendamente alieno e forse alienante, che dell'alienazione fa però pane quotidiano, sbattendocela in faccia e facendoci prendere coscienza di quanto in realtà preesista nel profondo di ogni essere umano: unica scusante è probabilmente l'incapacità di darle sfogo, o l'assoluta mancanza di controllo in caso contrario.


Un uomo che non riesce più a distinguere realtà da riflesso e finisce per annullarsi all'interno dello specchio nel quale vorrebbe poter vivere; una donna che ama e odia allo stesso tempo il marito in maniera così distorta e sbagliata da distruggerne il corpo per poi seguirlo nel dolore, in comunione con un concetto di arte che va oltre alla perfomance, oltre all'opera pura; un uomo che soffre terribilmente di fronte ad ogni minimo contatto col prossimo ma torturato dall'amore folle per una donna, che lo porta ad un estremo gesto di annullamento e di trasposizione in quel mondo di sogni e illusioni che, anche se in modo tragicamente diverso, compare in tutti gli episodi.
Il tutto legato dalla figura di Tadanobu, uomo in conflitto con la propria esistenza e la propria definizione, uomo in perenne lotta con l'odio per la moglie inferma e l'odio per un se stesso che non basta più, che non esiste più se non nella dualità uomo-donna che avvistiamo nei primi minuti di questa sconvolgente pellicola.

Rampo Noir non è un film facile da digerire, non lo definirei nemmeno film.. probabilmente nella folle ricerca di una definizione di opera d'arte è proprio questo percorso a colpire il "pubblico" molto più dei suoi contenuti.
Magistrale, pur nella semplicità di una regia non sempre all'altezza della poesia del copione.

Spaventosamente difficile, orrendo a tratti.. ma imperdibile.

Voto: 7,5

Disappear




Titolo orginale: Shissô: boku ga kanojo o tojikometa wake
Paese: Giappone
Anno: 2005
Regia: Hideo Jôjô


Asi, Kwangshu e Yinan sono amici fin da piccoli e compagni di scuola. Quando gli anni passano, Asi diventa una bella ragazza e decide di fidanzarsi con Kwangshu, spezzando il cuore a Yinan che l'ha sempre amata in silenzio.
Dopo una serie di involontarie e rocambolesche avventure, Asi si ritrova prigioniera a casa di Yinan che impazzito decide di tenersela per sè convinto di poterla conquistare (o per lo meno sfruttare..) in questa maniera.
Nel mondo esterno tutto continua in maniera normale, la gente vive la sua vita e il lavoro nella piccola officina in cui Yinan passa la maggior parte del tempo è noioso e ripetitivo come sempre, con l'unico diversivo di un'oca trovata ferita che per caso diventa mascotte degli operai.
Nella piccola casa, Asi cerca di barcamenarsi come può, senza mai abbandonare l'idea di una fuga, che più di una volta cerca di attuare senza successo.

Fin qua tutto bene, non fosse che dietro a tanta tragedia si cela un grande malinteso alla base di un minestrone melenso degno del miglior shojo manga.
Nessun accenno horror, solo violenza e dolore in un film dall'esito non così scontato come ci si aspetterebbe ma forse forzatamente mieloso, nonostante l'evidente impossibilità (o forse solo difficoltà) di concluderlo in maniera diversa.

Interpretazioni fastidiose al limite del dolore fisico (la sinfonia di respiri asmatici è una sofferenza per le orecchie) ma anche intense e drammatiche al punto giusto, in un film decisamente non facile da vivere e rappresentare, scomodo per tanti versi. Non si tratta di violenza visiva quanto piscologica, in una spirale di eventi che, seppur estremizzati alla classica maniera nipponico-autodistruttiva, sono spesso comuni a molti di noi.

Scomodo, ma avrebbe potuto essere molto peggio (o meglio?)


Voto: 5,5

Lhorn





Titolo originale: Lhorn - Soul
Paese: Thailandia
Anno: 2003
Regia: Arphichard Phopairoj


La gita di un gruppo di ragazzi alla vecchia casa di famiglia di uno di loro si trasforma in occasione perfetta per sciorinare vecchie storie su fantasmi e possessioni poco simpatiche. Il tutto calato nella Thailandia rurale dei villaggi e delle campagne che fanno poco Alpitour e molto Linea Verde.

Filo conduttore di tutto il film è il dialogo fra Sao e Manao (non sto scherzando..) che insieme ad un amico ripercorrono le antiche leggende soprannaturali che popolano il loro paese. Partendo da un malefico libricino nero (dejavù) assistiamo a diversi episodi, ognuno dei quali legato ad un diverso tipo di fantasma o spirito e luogo di provenienza: abbiamo lo spirito mangia polli crudi, lo spirito libidinoso ninfomane, lo spirito spaventapasseri che vive in una pianta, lo spirito albero vendicativo.
Tutti legati alla natura, tutti in qualche modo strettamente connessi ad una pianta o simile.
Se l'idea di fondo non è malvagia, i personaggi di contorno presenti nella casa e le ridicole scene che si svolgono ai giorni nostri bastano ad abbassare il punteggio generale del film, rendendolo spesso scialbo, risibile e ben poco pauroso.
Interessante comunque osservare la minuziosa riproduzione di realtà e luoghi in genere snobbati dalla cinematografia (se non in occasione di documentari o film denuncia) che rendono estremamente esotico e realista l'intera architettura di un film altrimenti difficile da seguire senza appisolarsi almeno mezz'ora o più..

Visivamente semplice e di poche pretese, un film tutto sommato piacevole ma non indispensabile. Da vedere per chi ha uno spiccato interesse per la Thailandia, per le leggende e per i fantasmi. O per chi, come me, si sottopone volontariamente alla tortura perchè in fondo appassionato al genere.
Sconsigliato a tutti gli altri.

Voto: 4,5