sabato 10 maggio 2008

Pray


Titolo originale: Purei
Paese: Giappone
Anno: 2005
Regia: Yuichi Sato

Tratto da un racconto di Ogawa Tomoko, se non avessi letto la storia originale molto probabilmente non avrei capito granchè della trama. Purei parte da un'idea abbastanza interessante (un rapimento che si trasforma in ghost story, questa ancora mi mancava) ma scade nell'ovvio e nello scontato grazie a dialoghi poco incisivi e scritti probabilmente sotto l'effetto di qualche sostanza illegale (unica cosa stupefacente in questo film, a mio parere) e ad attori che sfoggiano un'espressività da totano in salamoia.

Mitsuru e Miwa decidono di rapire una bambina (a caso!?!?!? dal film sembra proprio così...) in modo da ripagare un grosso debito grazie ai soldi del riscatto. Peccato che il piano vada in fumo grazie anche all'arrivo di tre amici (un pochino tonti, se mi permettete l'espressione) e un paio di fantasmi ad hoc.
Ovviamente, quale posto migliore per nascondersi se non la vecchia scuola di lui? L'espediente permette di mettere in scena le più ridicole scene horror mai viste: un tripudio di mani mozzate col compasso (non scherzo, provate a misurare la macchia di sangue e ve ne accorgerete), taglierini killer, lavagne assassine e gabinetti mortali. Niente di eccessivamente splatter, anzi. L'orrore è più che altro suggerito (molto bene oserei aggiungere: dopo un minuto di film già avrei voluto cavarmi gli occhi dalla noia) dall'atmosfera tetra dell'edificio in cui si svolge l'intera vicenda.
Su tutto aleggia poi la presenza di una bambina pseudo muta che passa tutto il film a giocare a nascondino, rendendosi oggetto dell'odio non solo dei protagonisti ma anche mio. Aggiungiamoci anche il fantasma di una ragazzina suicida per amore e la ricetta è pronta.
Se la scena finale in palestra poteva dare un senso compiuto all'intera storia, regalando anche un momento decisamente commovente, le ultime inquadrature all'esterno rovinano il già fragile castello di carte su cui poggia tutto il film e rimettono in discussione l'intera tesi, rendendo di fatto vano ogni tentativo di razionalizzazione.
Noioso e deludente.

Voto: 4

House


Titolo originale : Hausu
Paese: Giappone
Anno: 1977
Regia: Nobuhiko Obayashi


Film culto per alcuni, film da dimenticare per (molti) altri... Hausu è l'esordio alla regia di Nobuhiko Obayashi che nel lontano 1977 porta su schermo un delirio di immagini e colori forse mai visto prima.
La storia, abbastanza banale, parte dalla solita scuola e la solita scolaretta in balìa di inevitabili crisi familiare. Da qua l'idea di portare un gruppo di compagne in gita a casa della zia, che abita in una sorta di castello maledetto in cima alla rupe più alta circondata da un fossato e lava infuocata e guardato a vista da un drago inferocito.
Scherzi a parte, la "casa" è il vero protagonista del film, fungendo da rifugio e prigione allo stesso tempo; luogo di serenità e sicurezza familiare che cela però (come tutte le case di questo mondo) un lato oscuro fatto di perversioni, rituali poco ortodossi e violenza inaudita.


Non aspettatevi però il solito polpettone psicological-drammatico: Hausu è tutto fuorchè noioso, tutto fuorchè serio...tutto fuorchè film.
Due ore di allucinazioni, deliri visivo-sonori, trovate trash degne di essere tramandate ai posteri (impossibile dimenticare la testa nel pozzo o il pianoforte cannibale) e tanto, tanto, pongo.
L'intreccio di trame e sottotrame trova ragione d'essere nella presenza inquietante (anche per i gattofili più incalliti come me) di un serafico gatto persiano bianco (non a caso, il bianco è per i giapponesi sinonimo di morte) che semina terrore (e miagolìì) per tutta la durata del film.

Un'opera strana, da prendersi con non troppe aspettative e da considerare per quello che è: un lungo videoclip psichedelico girato negli anni '70. Divertente.

Voto: 6